mercoledì 3 ottobre 2007

Fermiamo i restauri ... (Ginzburg/Settis)

Questo post si trova anche nel Forum Conservazione&Restauro dove è possibile contribuire al dibattito.

Credo sia necessaria una riflessione sull'articolo che appare oggi su "la Repubblica" (prima pagina) "Fermiano i restauri cambiano la nostra storia" a firma di Carlo Ginzburg e Salvatore Settis.

La richiesta/proposta di una pausa di riflessione nell'ambito del mondo dei rutilanti restauri nasce dalla considerazione che forti concentrazioni di danaro si concentrano su grandi interventi proponendo/imponendo restauri sempre da vetrina, straordinari e che ricercano risultati da prima pagina.
Ginzburg e Settis insistono nel chiedersi quanto sia davvero reversibilè l'azione compiuta su alcuni capolavori.
Fatti i debiti paragoni sembrerebbe che l'esigenza di comunicazione faccia il paio alla smania dei restauri ripristinatori che caratterizzò gli anni pre fascisti e fascisti. Allora motivi ideologici (e comunque sempre la ricerca di formidabili vetrine per veicolare qualcosa di diverso che il rispetto dei monumenti) oggi il capitale e forti concentrazioni economiche si impegnano spasmodicamente alla ricerca di consenso e pubblicità.
Corollario a questo discorso è la capacità di impegnare cifre notevolissime per la diagnostica e per la documentazione. E' la lezione ICR e OPD di questi decenni. Non si può dare intervento senza l'ausilio della diagnostica scientifica.
Tutto questo genera talvolta circoli virtuosi altre volte sprechi inimmaginabili.

Tra l'altro non mi pare privo di significato che l'articolo appaia oggi nello stesso giorno in cui Settis introduce la giornata di cui al post La tutela dei Beni Culturali: i cantieri, gli archivi e la comunicazione. Come se sia stato scelto questo contesto perchè proprio quello in cui i temi agitati trovino la massima adesione al mondo reale.


Questo l'articolo:
Fermiamo i restauri cambiano la nostra storia
CARLO GINZBURG SALVATORE SETTIS

Nell'ultimo quarto di secolo la fisionomia di opere capitali, che appartengono al patrimonio artistico non dell'Italia soltanto ma dell'umanità, è cambiata profondamente. Al restauro del soffitto della Cappella Sistina e del Giudizio di Michelangelo, preceduti da quello della Camera degli sposi affrescata da Mantegna a Mantova, sono seguiti restauri dei cicli di Masaccio e Masolino a Santa Maria del Carmine, dì Giotto a Padova, di Piero della Francesca ad Arezzo: un lungo elenco che potrebbe continuare, includendo tavolo e tele altrettanto importanti conservate in chiese e musei.
Si è trattato di restauri diversi per natura e per risultati. Essi sono stati discussi, e continueranno ad esserlo, da parte degli addetti ai lavori. Ma il fenomeno ha richiamato da tempo un'attenzione più vasta da parte dell'opinione pubblica internazionale. Come cittadini vogliamo esprimere una profonda preoccupazione. Chiediamo una pausa di riflessione, che nasce dalle seguenti considerazioni.
1) Il concentrarsi dei restauri su opere celeberrime come quelle citate, riprodotte in tutti i manuali di storia dell'arte, non ha bisogno di spiegazioni.
I gruppi industriali o finanziari che appoggiano quei restauri investono ingenti sommi; di denaro in cambio di pubblicità: chiedono risultati visibili, possibilmente clamorosi; all’ eliminazione di ciò che può aver prodotto il degrado sono meno interessati. Una conseguenza inevitabile è che le opere meno note, ma altrettanto o più bisognose di restauro, vengono spesso ignorate. Una conseguenza possibile (e tutt’altro che irrealistica) è che opere notissime vengano sottoposte a restauri non urgenti che le rendano ancora più fragili. L'incuria e l’accanimento terapeutico sono due facce della stessa medaglia.
2) Ogni restauro costituisce un'interpretazione storica, anche quando si nasconde dietro l'alibi di una presunta scientificità «asettica» e senza tempo. Ma l’interpretazione di un testo scritto (una cronaca, un atto notarile ecc.) non e’ irreversibile; il restauro in molti casi lo è.
Togliere una velatura da una tavola, un ritocco a secco da un affresco. un elemento che fa parte della stratificazione storica dell'opera, equivale a bruciare la pagina di un testo che ci è arrivato in un unico manoscritto. Quella tavola, quell'affresco non torneranno mai più quello che erano: e d'altra parte la restituzione dell'opera al suo stato originario, quando uscì dalle mani del’ artista , è per definizione inattingibile.
E' giusto che una generazione si arroghi il diritto di intervenire drasticamente, trasformandola in maniera irreversibile, su una parte così cospicua, qualitativamente e quantitativamente, della tradizione artistica italiana, sulla base di una cultura figurativa specifica - la nostra, modellata dalle fotografie a colori e dai faretti, dalle sciabolate di luce elettrica che trasformano il gioco delle luci e delle ombre in carte da gioco? E' giusto correre un rischio del genere? Come l'ambiente naturale, anche l'ambiente artistico è diventato estremamente fragile. In entrambi i casi la riflessione arriva forse troppo tardi, in una situazione ormai compromessa. Ma come il proverbio ci ricorda amaramente, il peggio non è mai morto. Dobbiamo chiederci quale patrimonio artistico ci apprestiamo a lasciare alle generazioni future, e in quali condizioni. Non dobbiamo dimenticare che, quando era direttore dell'Istituto Centrale per il Restauro, Giovanni Urbani propose di sostituire alla strategia del restauro come terapia d'urto quella della «conservazione programmata»: un contìnuo, capillare, diffuso monitoraggio delle opere d'arte teso a impedirne o rallentarne il degrado.
E' un'indicazione preziosa, a patto che si tenga presente, al di là della lettera, lo spirito che l'ha dettata.
Una pausa di riflessione, una discussione ampia e non convenzionale su questi temi sono necessarie.
Chiediamo una sospensione di tutti i restauri ad eccezione di quelli a fini di mera conservazione.

Una moratoria è necessaria


(OCR da articolo pubblicato su "La Repubblica" questa mattina. Riferirsi sempre alla fonte originaria)

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