lunedì 30 gennaio 2017

Il mondo della conservazione si deve allenare per entrare in gioco in Wikipedia! EDIT-A-THON AL SALONE DEL RESTAURO 2016?

Una rubrica, fosse anche dedicata a questioni feline (successo incondizionato assicurato) non può che nascere dal proprio vissuto professionale o umano che sia. È un’osservazione banale. Se mi occupassi, in questa rubrica, di questioni legate alla diagnosi, stadiazione e terapia delle epatopatie metaboliche probabilmente non avrei molto da dire. Potrei aggiornarmi, studiare, cercare assistenza e sollievo mediante le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Dovrei, in ogni caso, cercare contenuto e dovrei essere (diventare) nel frattempo esperto nel settore.

martedì 31 maggio 2011

Wikipedia candidata a patrimonio culturale dell'umanità

Ma perchè non ci occupa di cose serie?
La proposta lascia allibiti, e sembra ripetere quella di Internet (tutta la rete ... rappresentata da chi?) come Nobel per la Pace.
Diverse le motivazioni, identico il non vago sapore di ridicolo.

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martedì 14 dicembre 2010

Il teatro Scribe diventa il primo museo del Web

la Stampa - cultura
10/12/2010 - LA CITTA' CHE CAMBIA, NASCE IL POLO DEI MEDIA
Progetto di Boglione per recuperare la struttura.
Il Comune: avremmo un distretto unico al mondo
EMANUELA MINUCCI

TORINO

L’idea è di quelle, come hanno fatto notare ieri in Comune, in grado di restituire ancora una volta a Torino il ruolo di apripista: stavolta sarà la prima città italiana in grado di inaugurare un museo dedicato a Internet. Ma non è tutto. Questa «pinacoteca sorvegliata dalla chiocciola del Web» che esporrà computer e mouse sarà sistemata a due passi dal Museo del Cinema e dal Museo della Radio. Tutto questo si deve a un’idea dell’imprenditore Marco Boglione, autentico appassionato d’informatica che nutre lo stesso «fanatico» sentimento per la sua città. E così, dal momento che giusto pochi giorni fa è riuscito a mettere le mani - pagandolo 156 mila euro da Christie’s - sul primo computer della storia firmato Apple, ha deciso di esporlo insieme con altri pezzi della sua singolare «@-collezione» nel primo museo tutto dedicato a Internet.

Sino a qualche giorno fa, però, l’idea di allestire una mostra permanente sulle origini del Web era soltanto un auspicio, bello, ma ancora solo teorico. Da lunedì scorso invece c’è anche la location, che più azzeccata non si potrebbe: si tratta del Teatro Scribe, che da anni, essendo ridotto a un cumulo di macerie, rappresenta un grande problema per il Comune, e in seconda battuta per il Museo del Cinema e per la Rai. Ed è proprio con alcuni vertici Rai che lunedì scorso si è incontrato l’imprenditore Marco Boglione. A loro - che sono i proprietari del Teatro Scribe - l’imprenditore ha sottoposto la suggestiva proposta di ambientarci un museo tutto dedicato a Internet.

Una proposta nata proprio perché a due passi da via Verdi - dove si trova il Teatro Scribe - c’è la Mole, con il suo Museo del Cinema, e ancor più vicino, vale a dire di fianco, c’è il Museo della Radio. Insomma, un intero distretto dedicato al mondo e all’arte della comunicazione. Unico nel suo genere, non solo in Italia, ma al mondo: «I forestieri che visitano il Museo del Cinema - ha spiegato ieri l’assessore Alfieri - restano sconcertati dal fatto che davanti al monumento simbolo di Torino siano ancora clamorosamente visibili le ferite inferte dalla seconda guerra mondiale al centro storico. Sarebbe fantastico che, grazie a un intervento di privati lungimiranti, davanti alla Mole si ricostruisse l’antico Teatro Scribe e altrettanto fantastico che all’interno si creasse un moderno museo dedicato a Internet, in stretta relazione con i media che lo hanno preceduto, nell’ordine: il cinema, la radio, la televisione, tutti e tre raccontati nelle immediate vicinanze.

Una soluzione del genere sarebbe un unicum a livello internazionale che farebbe dire ancora una volta: «Solo a Torino, dove tre di quei quattro media sono nati per quanto riguarda l’Italia, si poteva realizzare un’iniziativa del genere». Ma che cosa si esporrà in questo singolare museo? Pezzi storici come il primo Apple acquistato giorni fa da Boglione e battuto da Christie’s, libri e laboratori dedicati alla storia del Web, e più o meno 300 pezzi sempre della collezione di Boglione che comprende tutti i Commodore e molti Ibm, MacIntosh ed Apple. Sinora l’esemplare più prezioso era un Altair 8800 del ‘75, il primo personal della storia: sulla sua tastiera Gates e Allen hanno scritto i programmi per dare il via all’avventura di Microsoft. E l’Apple I, mai esposto prima d’ora, insieme con altri pezzi rari, si può ammirare nella vetrina del negozio K-Way di via Roma.

sabato 16 ottobre 2010

Strategia d’un disastro di Bruno Zanardi

Il corrente restauro estetico ha raggiunto il suo punto di crisi metodologica? Ha cioè toccato la soglia oltre la quale conviene, converrebbe, a tutti non più inoltrarsi? Era questo il senso della richiesta di moratoria dei restauri avanzata un paio d’anni fa da Carlo Ginzburg e Salvatore Settis, tuttavia rimasta lettera morta nonostante la sede, la prima pagina di Repubblica, e il suo ben preciso fondamento?
Un quesito, il mio, nato da una visita alla recente mostra di Caravaggio alle Scuderie del Quirinale.

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venerdì 27 agosto 2010

Mal d'archivio. Aiuto, stiamo perdendo la memoria digitale

Repubblica — 24 agosto 2010 pagina 40 sezione: CULTURA

Una sindrome si aggira per il mondo: il mal d' archivio. È una malattia endemica nell' habitat umano, visto che le civiltà scompaiono e le biblioteche bruciano, ma da qualche decennio a questa parte ha subito una mutazione in seguito al passaggio dalla carta al digitale, e ha tre cause principali. Primo, la deperibilità dell' hardware:i papiri sono arrivati sino a noi, i cd si smagnetizzano che è un piacere. Secondo, l' iper-evolutività del software: noi usiamo l' alfabeto dei Fenici, ma vai a leggere un testo di dieci anni fa in wordstar. Terzo, l' inflazione per iper-riproducibilità dei documenti: portando all' estremo un processo già avviato con le fotocopie, il documento perde l' aura che deriva dalla sua unicità, e alla fine niente si conserva, o tutto si conserva in maniera casuale. Il male può colpire archivi grandi e piccoli. Con i piccoli è inesorabile: lettere sbiadite e cartoline ingiallite possono arrivare ai nostri nipoti in scatole e cassetti, ma non un byte di memoria dei nostri computer o telefonini, a meno che i nostri figli non facciano gli archivisti e abbiano tempo da perdere. Però anche i grandi archivi sono minacciati, e non solo dai bombardamenti e dai roghi, ma banalmente dai taglie dai licenziamenti. Non dimentichiamo infatti che l' analogico ha un costo di produzione che può essere elevatissimo (incidere una lapide richiede tempo e denaro), ma un costo di conservazione relativamente modesto, nel caso dei libri, che comunque abbisognano di ripari dalle intemperie, o addirittura nullo, per l' appunto nel caso della lapide, che non ne ha bisogno: la conservazione è assolutamente passiva. Il digitale è l' esatto contrario: costi di produzione irrisori, e in costante diminuzione, ma costi di conservazione in crescita progressiva, per i motivi che abbiamo visto, e anche perché un libro può essere conservato da un analfabeta, come i codici di Timbuctu, protetti dal clima secco del deserto, mentre un file richiede competenze tecnologiche elevate e costantemente aggiornate. Si disegna così una curva entropica: più passa il tempo, più la manutenzione costa, più scompaiono i diretti interessati. E questa circostanza economica appare alla fine molto più decisiva di quella puramente tecnologica, perché in teoria si può salvare tutto, in pratica tutto può essere perso. Si pensi ad esempio al cosiddetto salvataggio "cloud", in cui i nostri dati vengono affidati a grandi organizzazioni che conservano in remoto; il vero problema è però non tanto che i nostri archivi cadono in mano d' altri, quanto piuttosto che questi altri possono cambiare (una azienda può venire comprata da un' altra, e con lei il nostro archivio) o possono cessare di esistere (l' azienda che salva in remoto fallisce, e buonanotte). Con gli e-book, questo problema si estende all' editoria: Aldo Manuzio ha cessato le pubblicazioni da parecchi secoli, ma le sue edizioni sono ancora lì. Non lo stesso accadrebbe con un e-book. Sotto il profilo economico, dunque, il digitale è come il nucleare: molto conveniente, ma solo a condizione che si sia nelle condizioni di garantire una elevata manutenzione. Altrimenti bisogna prepararsi a delle catastrofi documentali parallele alle catastrofi ecologiche, e altrettanto gravi, perché dalla conservazione degli archivi dipende la sopravvivenza non solo della cultura, ma della intera società. Che fare? Bloccare lo sviluppo del digitale è una battaglia persa e insensata, anche perché la nostra cultura è ormai intrisa in modo irrinunciabile dal digitale, che è il nostro presente e il nostro futuro. Si tratta piuttosto di trovare i modi per far sì che questo presente e questo futuro possano diventare un passato, cioè durare nel tempo. In questa partita, un ruolo centrale può essere svolto proprio dalle biblioteche, che diventano più cruciali che mai al tempo dell' e-book, come argomenta Antonia Ida Fontana, direttrice della Biblioteca Nazionale di Firenze: «Gli autori e gli editori, forti anche dell' esempio di quanto avviene in campo musicale, debbono vedere nelle biblioteche un alleato in grado di far conoscere il loro lavoro anche quando cessano le campagne promozionali. Attraverso i cataloghi i lettori possono richiedere di stampare o di scaricare i file, con un pagamento che può apparire modesto, a livello di singolo, ma che consente in realtà di trasformare in long-seller anche i libri la cui vita sugli scaffali delle librerie si calcola in pochi mesi». Questo vale, a maggior ragione, per la conservazione, dove «attraverso procedure studiate a livello internazionale, le istituzioni della memoria si fanno carico della conservazione per i secoli futuri della nostra cultura». Vorrei aggiungere due considerazioni. La prima è che la collaborazione tra biblioteche e web diventa tanto più cruciale nel momento in cui tutte le procedure della pubblica amministrazione si svolgono online, e dunque devono trovare una tutela nel tempo. La seconda è che questo sistema si può estendere agli archivi individuali, i più esposti al mal d' archivio, per esempio proponendo uno scambio in cui il privato (individui o gruppi) finanzia - nelle modalità esposte da Franco Debenedetti - la conservazione e restauro di un testo e la biblioteca assicura la catalogazione e tutela dell' archivio privato. Insomma, diversamente da altre sindromi, il mal d' archivio ha una cura: sono le biblioteche, gli archivi di stato, le università, i centri di ricerca (in Italia l' Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee sta elaborando un ambiziosissimo progetto in questa direzione) cioè gli ambiti tradizionali di creazionee trasmissione del sapere. Certo, costano. Ma molto meno di quanto costi un modo senza memoria. - MAURIZIO FERRARIS